Ordinanza n. 129 del 2002

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ORDINANZA N. 129

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Massimo VARI, Presidente

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 5, commi da 1 a 11 del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517 (Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed università, a norma dell’articolo 6 della l. 30 novembre 1998, n. 419), promossi con n. 35 ordinanze emesse il 5 luglio 2000 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, rispettivamente iscritte ai nn. da 817 a 827, da 832 a 841 e da 843 a 856 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 41 e 42, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visti gli atti di costituzione di G. P. P. P. ed altri, di C. M. ed altro e A. C. ed altri e della Regione Toscana nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 marzo 2002 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III, solleva, con trentacinque ordinanze del 5 luglio 2000 (pervenute alla Corte il 26 settembre ed il 2 ottobre 2001), questione di legittimità costituzionale delle seguenti disposizioni del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517 (Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed università, a norma dell'articolo 6 della l. 30 novembre 1998, n. 419): art. 5, comma 8, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione; art. 5, comma 7, in riferimento agli artt. 33 e 76 della Costituzione; art. 5, commi da 1 a 6 e da 8 a 11, nonchè art. 3 – quest’ultimo nella parte in cui non prevede una partecipazione diretta degli organi universitari nelle scelte delle aziende ospedaliero-universitarie in materia di collegamento tra le attività di assistenza, didattica e ricerca – in riferimento agli artt. 33 e 76 della Costituzione;

che le ordinanze, con argomentazioni in larga misura coincidente, impugnano l'art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 517 del 1999, il quale stabilisce un termine perentorio entro il quale i professori ed i ricercatori universitari delle facoltà di medicina e chirurgia (infra: medici universitari) esercitano o rinnovano l’opzione – prevista dal comma 7 – per l’esercizio di attività assistenziale intramuraria (c.d. attività assistenziale esclusiva), ovvero di attività libero-professionale extramuraria, disponendo che, in mancanza di comunicazione, si intende effettuata l’opzione per l’attività assistenziale esclusiva;

che, secondo il Tar, la norma, fissando il succitato termine indipendentemente dalla individuazione delle strutture destinate allo svolgimento dell’attività assistenziale intramuraria, violerebbe gli artt. 3 e 97 della Costituzione, in quanto la loro preventiva identificazione configurerebbe un presupposto dell’opzione e, proprio per questo, la disposizione inciderebbe negativamente sulla compenetrazione tra attività assistenziale ed attività didattico-scientifica, in violazione dei principi di coerenza e ragionevolezza dell'ordinamento, nonchè di buon andamento dell'amministrazione;

che, ad avviso dei rimettenti, l'art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 517 del 1999 e le disposizioni ad esso sottese e connesse - ossia i commi da 1 a 6 e da 8 ad 11 - nonchè l'art. 3, nella parte riguardante l’organizzazione interna delle aziende ospedaliero-universitarie, recherebbero vulnus agli artt. 33 e 76 della Costituzione;

che, in particolare, la configurazione dell’opzione per l’attività assistenziale esclusiva quale requisito per l’attribuzione degli incarichi di direzione dei programmi di cui al comma 4 della norma impugnata violerebbe il principio di compenetrazione tra attività sanitaria assistenziale ed attività didattica e di ricerca scientifica, assoggettando l'attività assistenziale svolta dal medico universitario alle determinazioni organizzative del direttore generale dell'azienda ospedaliero-universitaria, in violazione del principio dell’autonomia universitaria;

che, ad avviso del Tar, agli organi dell’università sarebbero stati attribuiti compiti marginali nel coordinamento degli interessi concernenti l'insegnamento e la ricerca scientifica, in considerazione sia dei poteri attribuiti al direttore del dipartimento, sia della circostanza che questi risponde della programmazione e della gestione delle risorse al direttore generale e sarebbe tenuto a privilegiare le esigenze dell’attività assistenziale rispetto a quelle dell'attività didattica e scientifica, così da non garantire lo svolgimento delle attività assistenziali <<funzionali alle esigenze della didattica e della ricerca>>, in violazione dell'art. 6, comma 1, lettera b), della legge 30 novembre 1998, n. 419;

che, secondo i rimettenti, <<la normativa delegata in materia di opzione>> (ossia l’art. 5, commi da 1 a 6 e da 8 a 11, nonchè l’art. 3 del d.lgs. n. 517 del 1999 <<in parte qua>>), si porrebbe in contrasto con gli artt. 33 e 76 della Costituzione, in quanto il divieto di attribuire al medico universitario il quale non abbia scelto l'attività assistenziale esclusiva la direzione delle strutture e dei programmi finalizzati alla integrazione di queste attività non garantirebbe "la coerenza fra l'attività assistenziale e le esigenze della formazione e della ricerca" (art. 6, comma 1, lettere b e c, della legge n. 419 del 1998), modificando lo stato giuridico del personale universitario, in violazione dei principi e dei criteri direttivi della legge-delega;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto in tutti i giudizi con separati atti di contenuto sostanzialmente coincidente, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate;

che, ad avviso della difesa erariale, il d.lgs. 28 luglio 2000, n. 254, attribuendo ai medici universitari la facoltà di esercitare l'attività libero-professionale intramuraria in regime ambulatoriale presso i propri studi, nei casi di carenza di strutture e di spazi idonei all'interno delle aziende ospedaliero-universitarie, inciderebbe sulla fondatezza delle censure riferite all'art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 517 del 1999;

che, secondo l’interveniente, detta norma, fissando un termine perentorio per l’esercizio dell’opzione in esame, non sarebbe legata da alcun nesso con il comma 7, e, comunque, i medici universitari, allorquando effettuano la scelta, sono consapevoli degli effetti che ne derivano;

che, ad avviso dell'Avvocatura, le censure riferite all'art. 5, comma 7, cit., ed alle disposizioni ad esso sottese, sarebbero infondate, in quanto gli incarichi di direzione dei programmi del comma 4 sono stati ragionevolmente riservati ai medici universitari i quali, scegliendo il rapporto esclusivo, assicurano piena disponibilità per la loro realizzazione;

che, secondo la difesa erariale, le norme censurate non violerebbero il principio di compenetrazione tra attività assistenziale ed attività didattica e di ricerca in riferimento ai medici universitari che scelgono il rapporto non esclusivo, in quanto essi continuano a svolgere l'attività di ricerca e didattica strumentale rispetto a quella assistenziale e, inoltre, sarebbe stata ragionevolmente realizzata una convergenza delle strutture sanitarie ed universitarie, attribuendo priorità all'assistenza sanitaria, in vista della tutela della salute del singolo e della collettività;

che, a suo avviso, le censure riferite all’art. 76 della Costituzione sarebbero infondate, dato che la legge-delega ha inteso rafforzare la collaborazione tra università e Servizio sanitario nazionale;

che nei giudizi instaurati con le ordinanze di rimessione iscritte ai numeri 838, 843 e 851 del registro ordinanze dell’anno 2001, si sono costituiti i ricorrenti nei processi principali, facendo sostanzialmente proprie le conclusioni del Tar;

che nei giudizi promossi dalle ordinanze iscritte ai numeri 832 ed 851 del registro ordinanze dell’anno 2001 si é altresì costituita la Regione Toscana – parte nei processi a quibus -, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate.

Considerato che l'identità delle norme impugnate, delle censure proposte e dei parametri costituzionali invocati, nonchè la coincidenza delle argomentazioni svolte nelle ordinanze di rimessione rendono opportuna la riunione dei giudizi;

che, nel decidere identiche questioni sollevate dallo stesso Tar del Lazio, questa Corte, con ordinanza n. 394 del 2001, ha affermato che gli atti legislativi e regolamentari, nonchè la sentenza n. 71 del 2001, sopravvenuti alle ordinanze di rimessione hanno influito sul complessivo quadro normativo di riferimento nel quale si inscrivono i molteplici profili delle questioni di legittimità costituzionale, richiedendo, conseguentemente, un nuovo esame da parte dei giudici a quibus dei termini delle questioni e della loro perdurante rilevanza;

che le argomentazioni svolte in detta ordinanza conservano validità anche in relazione ai provvedimenti di rimessione oggetto del presente giudizio;

che, alla luce delle modificazioni sopra indicate, gli atti devono essere restituiti ai rimettenti, affinchè procedano ad un nuovo esame della perdurante rilevanza delle questioni.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 aprile 2002.

Massimo VARI, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 22 aprile 2002.